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La Guardia Costiera di Taranto smantella traffico di rifiuti pericolosi. Tre società coinvolte e otto indagati

Nella giornata di giovedì 25 maggio, personale della Capitaneria di Porto–Guardia Costiera di Taranto, a seguito di una complessa attività di indagine, condotta sotto il coordinamento investigativo della DDA di Lecce, ha dato esecuzione ad apposito decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. del Tribunale di Lecce su richiesta del P.M. De Nozza, attraverso cui si ritiene di aver smantellato una articolata catena ecocriminale dedita all’illecito smaltimento di rifiuti pericolosi operante nell’intera Provincia di Taranto.


Le attività investigative, condotte per mesi da parte della Guardia Costiera di Taranto legate ai lavori di rettifica, allargamento e adeguamento strutturale della banchina di levante del molo San Cataldo e di quelli di consolidamento della calata del porto di Taranto, hanno permesso di ipotizzare l’esistenza di un’articolata organizzazione dedita al traffico illecito di rifiuti, composta da tre società, che con più operazioni continuative e attraverso l’allestimento di più mezzi ad essa strumentali, avrebbero posto in essere una strutturata ed abusiva gestione nelle tre fasi di produzione, trasporto e smaltimento, di ingenti quantità di rifiuti pari a 16.264,75 tonnellate di terre e rocce da scavo molti dei quali privi delle analisi di caratterizzazione e parti dei quali costituiti da fanghi di dragaggio illecitamente qualificati terre e rocce da scavo –nonché materiali misti di demolizione– interamente conferiti presso un impianto esclusivamente a suo tempo autorizzato al recupero in procedura semplificata, e ivi smaltiti mediante tombamento così trasformando detto sito di stoccaggio per il recupero in un sito di smaltimento e, quindi, in una verosimile discarica abusiva di oltre 40.000 mq circa di estensione e ciò al fine di conseguire un ingiusto profitto.
Tre le società coinvolte, otto, invece, i soggetti indagati a vario titolo, nei cui confronti, in aggiunta alla sospensione dei relativi titoli abilitativi all’esercizio delle attività, si è anche proceduto al sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria del profitto di reato per il traffico illecito di rifiuti dei saldi attivi di conti correnti bancari e/o postali, ovvero in forma di sequestro per equivalente di un ammontare complessivo di oltre 1.200.000 euro.
Nel corso della stessa operazione si è anche proceduto: 
-al sequestro di cinque motrici e relativi rimorchi di proprietà della società incaricata del trasporto dei rifiuti dal sito di produzione al luogo di illecito smaltimento;
-al sequestro di una cava dismessa destinata a discarica abusiva che si estende per una superficie complessiva di circa quattro ettari di terreno avente capacità contenitiva accertata di oltre 300.000 metri cubi, in cui risultano illecitamente tombati in un lungo arco temporale migliaia di tonnellate di rifiuti indiscriminati.
Le attività investigative, protrattesi per mesi da parte del nucleo di polizia giudiziaria della Guardia Costiera di Taranto hanno consentito, di ricostruire e cristallizzare un quadro di responsabilità di notevole complessità con gravi ripercussioni di natura ambientale. 
L’analisi delle condotte illecite poste in essere dalle società coinvolte, nonché la disamina dei flussi economici, della relativa documentazione fiscale e dei F.I.R, ha consentito di ipotizzare un significativo profitto economico consistito nell’effettivo ingiusto guadagno ottenuto dal mancato recupero di ingenti quantità di rifiuti protrattosi per mesi e nel loro tombamento mediante realizzazione di una discarica abusiva all’uopo realizzata e sottoposta a sequestro, a cui si aggiunge l’evidente compromissione e deterioramento ambientale conseguenti a tali condotte, atteso che i rifiuti provengono da un’area SIN (sito di interesse nazionale) che presenta concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti tabellari di legge stabiliti dal Testo Unico Ambientale.
Nell’ambito delle complesse attività investigative è stato ipotizzato che la Società appaltatrice dei lavori produttrice dei rifiuti derivanti dai processi di dragaggio, demolizione ed escavazione, abbia affidato gli stessi a specifica ditta di trasporto che a sua volta, in assenza delle doverose e prescritte caratterizzazioni di non pericolosità legate alla particolare natura inquinante dei rifiuti, abbia proceduto al conferimento e successivo tombamento non in una discarica a tal fine autorizzata, bensì, in una cava di tufo di ingenti dimensioni contenitive ubicata nel Comune di Massafra località Canonico, e che non rivestiva, in quanto tale, la qualifica di discarica in senso tecnico, in quanto la relativa autorizzazione a ricevere rifiuti come discarica era scaduta sin dal 2008 e non era mai stata rinnovata .
La Guardia Costiera ha monitorato per mesi decine di trasporti del materiale dal luogo di produzione a quello di illecito smaltimento, consentito di ipotizzare che siffatto sito da tempo inutilizzato veniva abusivamente impiega- to come discarica di rifiuti e non come centro di recupero, in tal modo eludendo la prescritta disciplina di settore così ottenendo il conseguente abbattimento dei costi di smaltimento che sarebbero stati esponenzialmente più alti lad- dove fosse avvenuto in modo corretto.
Il complesso quadro indiziario ricostruito in sede di indagine, ha consentito di costruire un sistema di smaltimento che – basato su una precisa volontà di reiterazione temporale della condotta criminale posta in essere –sarebbe connotato da una forte organizzazione e collaborazione tra le tre società componenti la filiera ecocriminale, nel quale ciascuna di esse assicurava un segmento necessario della condotta illecita funzionale alla distruzione dei rifiuti in spregio alla normativa vigente, adoperandosi alla consumazione continuativa e sistematica dei gravi illeciti realizzati, recanti ingenti danni ambientali sotto forma di inquinamento del territorio, in un’area geografica già fortemente penalizzata sotto tale profilo.
E lo stesso contenuto delle intercettazioni risulterebbe esemplificativo della precipua chiara e univoca volontà a delinquere da parte delle imprese coinvolte nel reiterare la condotta allorquando si diceva che quei rifiuti non c’era “un ca.... da lavare” perché ritenuti non pericolosi.

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