Sono alcune delle testimonianze raccolte nell’ambito del questionario “Incazzati a nero”, che già dallo scorso mercoledì viaggia on line, prodotto dalla Rete Studenti Medi di Taranto, Martina Franca e Cisternino.
In CGIL a presentare l’iniziativa c’erano Matteo De Robertis, Gabriella Minzera e collegato da Padova, Paolo Notarnicola, della Rete Studenti Medi.
Per la CGIL è intervenuto, invece, il segretario della CGIL di Taranto, Giovanni D’Arcangelo, il segretario del NIDIL CGIL, Daniele Simon e Viviana Lusso della FLC CGIL.
Siamo la casa dei diritti e delle tutele dei lavoratori e questa ricerca della RSM che indaga proprio il rapporto tra giovani e mondo del lavoro non poteva che trovarci disponibili a un confronto e una collaborazione che parte proprio dalla necessità di fornire a questi ragazzi la cassetta degli attrezzi per potersi difendere da sfruttamento e precariato – dice D’Arcangelo.
I primi dati parziali raccolti in tre giorni di somministrazione on line raccontano di una Puglia che ai suoi cittadini più giovani non appare l’Eldorado proposto in chiave turistica.
Il 77% di loro è disposto, infatti, ad abbandonare per sempre la sua terra natia. E di questi il 40% a lasciare l’Italia.
Il 20% dei ragazzi che hanno compilato il questionario ha avuto esperienze di lavoro che li impegnava 7 giorni su 7, il 50% dai 5 ai 6 giorni.
Il 36% ha lavorato per più di 8 ore al giorno, e per i 2/3 di loro il lavoro era rigorosamente “in nero”.
Quelli che testimoniano di aver lavorato con un contratto nel 20% dei casi non lo hai mai visto o ricevuto.
Poi il rapporto tra scuola e mondo del lavoro. Nel questionario si chiede ad esempio quanta coerenza con il proprio percorso di studi avevano ritrovato nelle mansioni che avevano svolto. Il 62% risponde di aver fatto ben altro rispetto alla formazione ricevuta.
Giudizio negativo è stato espresso dai ragazzi anche sui PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento) ovvero l’ex alternanza scuola-lavoro.
Il 40% trova questi percorsi di nessuna utilità. Il 30% di poca utilità.
Ma il dato che vorremmo arrivasse all’attenzione di chi ha il potere di decidere anche la programmazione dei fondi europei è quella che viene fuori dalle risposte alla domanda su “che sentimenti provano i ragazzi quando pensano al mondo del lavoro” – dice D’Arcangelo – perché il 59% di loro prova sconforto, e il 25% prova rabbia.
Il campione a cui fa riferimento attualmente la ricerca è di circa 200 ragazzi. Il 50% di loro ha tra i 18 e i 25 anni, il 33% dai 16 ai 17, ma addirittura il 15% ha meno di 15 anni.
I giovani non sono i bamboccioni e non sono quell’idea romantica del ragazzo a bottega che sta lì per imparare – dice Matteo De Robertis della Rete Studenti Medi – I giovani in questa regione sono ad esempio i motori che tengono in piedi il turismo, la balneazione, che lavorano nei cantieri edili, in campagna, o nel commercio, e contribuiscono al PIL di questo territorio.
Giovani che anche a 13 anni, specie in aree svantaggiate, sono costretti a contribuire al budget famigliare – spiega Viviana Lusso, della FLC CGIL – e che spesso arrivano a scuola già instradati e condannati allo sfruttamento, e su cui spesso non si è in grado di intervenire anche con una contrattazione sociale adeguata.
Dati che sfuggono al controllo – continua Daniele Simon, del NIDIL CGIL – perché mentre l’ISTAT parla di un aumento dell’occupazione, fotografa anche il dato preoccupante dell’aumento dei contratti precari, ma probabilmente non riesce a intercettare i dati del lavoro nero come quello che questi ragazzi oggi stanno raccontando.

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